In Toscana si vive bene. Ma nel 2020 che cosa succederà? Secondo le prime stime IRPET, saremo 3,7 milioni di abitanti, il 4% in più rispetto ad oggi ed il numero di stranieri sarà di oltre 400 mila persone. Gli ultrasettantenni rappresenteranno il...
In Toscana si vive bene. Ma nel 2020 che cosa succederà? Secondo le prime stime IRPET, saremo 3,7 milioni di abitanti, il 4% in più rispetto ad oggi ed il numero di stranieri sarà di oltre 400 mila persone. Gli ultrasettantenni rappresenteranno il 20% della popolazione, andremo quindi verso un costante e progressivo invecchiamento, con una conseguente crescita della spesa sanitaria pubblica, stimabile in valori assoluti dagli attuali 5,2 a quasi 5,7 miliardi di euro nell’arco dei prossimi 20 anni (5,5 al 2013), con un aumento a prezzi costanti pari a circa l’8%.
La forza lavoro crescerà di circa 50 mila unità, con una sempre più ampia partecipazione delle donne, un allungamento della vita lavorativa ed un incremento sostanziale anche nel livello di istruzione dei lavoratori. Gli studenti aumenteranno di circa 10.700 unità, con le uniche flessioni registrate nella scuola materna e all’università; all’andamento di generale crescita contribuiranno anche gli immigrati, con una crescita dal 4,6% nel 2003 al 12% nel 2023. A Firenze, per esempio, possiamo stimare che gli studenti iscritti alla scuola dell’obbligo saranno circa 79.064, di questi ben il 20,5% saranno immigrati.
Il sistema produttivo toscano, anche in presenza di condizioni positive, sarà caratterizzato da bassa crescita , se non addirittura da una sostanziale stazionarietà, e da un sostenuto processo di terziarizzazione . I settori in crescita saranno ancora la meccanica, la chimica e farmaceutica, l’agroalimentare (sopra il 3% annuo in termini reali), mentre i settori più tradizionali avranno crescite molto contenute e declinanti. Questo scenario, unito a una indispensabile crescita della produttività, autorizza a stimare che la domanda di lavoro sarà stazionaria o tenderà ad una lieve flessione (-60 mila unità), e che soltanto una diffusione progressiva del part time ed un ulteriore aumento della flessibilità eviteranno una crescita della disoccupazione.
Una società più dinamica, ma più disuguale, con lavori più instabili, meno salari e più profitti, una più elevata segmentazione nel mercato del lavoro fra occupati high skilled e low-skilled, una minore presenza di lavoro dipendente anche per i sempre più intensi processi di delocalizzazione delle imprese, un invecchiamento della popolazione ed un numero sempre maggiore di immigrati, dove ai nuovi problemi si sommano gli “antichi” ancora aperti, come la mobilità, l’ambiente, la tutela del patrimonio.