Next Generation Eu: una vera svolta?

Il nuovo corso della politica economica europea  Il Next Generation Europe (NGEu) segna un nuovo corso nella politica economica europea. Più che rispondere all’esigenza di risarcire i danni prodotti dalla pandemia, rappresenta infatti l’avvio...

S. Casini Benvenuti

Il nuovo corso della politica economica europea 

Il Next Generation Europe (NGEu) segna un nuovo corso nella politica economica europea. Più che rispondere all’esigenza di risarcire i danni prodotti dalla pandemia, rappresenta infatti l’avvio di una nuova fase di sviluppo, incentrata sul rilancio degli investimenti pubblici. Il cambio di paradigma, rispetto al passato, è netto per almeno tre ragioni:

  1. si comprende che per uscire dalla fase recessiva, che caratterizza da tempo l’economia europea, non bastano politiche monetarie espansive, ma serve anche una coraggiosa politica fiscale;
  2. si stabilisce che occorre fornire un indirizzo agli investimenti, confermando alcune strategie storiche (innovazione e coesione sociale) e implementandone di nuove (il Green Deal);
  3. si accetta che le risorse siano reperite attraverso l’emissione di titoli europei a lunga scadenza e che la gestione del debito sia in parte sostenuta con tasse europee.

I tre punti meritano tutti una breve riflessione.

Innanzitutto il Covid ha fatto affiorare un pensiero – già presente tra gli economisti – che interpreta questa lunga fase di lenta crescita come il segnale di una stagnazione secolare, al cui interno le politiche monetarie risulterebbero inefficaci. Solo con un forte impegno nel rilancio di investimenti pubblici sarebbe quindi possibile avviare un nuovo ciclo espansivo.

Affinché la spinta raggiunga l’obiettivo, l’intervento dovrebbe essere di magnitudo tale da garantire un elevato assorbimento di risorse aggiuntive. Delle tre linee strategiche individuate è soprattutto il Green Deal ad avere queste caratteristiche; infatti il sostegno alla digitalizzazione (fatta eccezione per la diffusione capillare della banda larga) e la lotta alle disuguaglianze, sebbene fondamentali per garantire la competitività e la coesione sociale, potrebbero non richiedere una sufficiente massa del risparmio oggi disponibile.

Infine il fatto che si ricorra ad emissione di titoli europei a lunga scadenza sarebbe vantaggioso per i paesi ad alto livello di indebitamento in quanto consentirebbe loro, oltre a bassi oneri per interessi, un lungo arco di tempo per riportare la crescita su livelli tali da assorbire l’aumento di debito.

 

Il salto di scala per gli investimenti pubblici in Italia…

L’Italia è tra i maggiori beneficiari di tale politica per volume di risorse che le sarebbero destinate: 209 miliardi di euro da utilizzare entro il 2026: quindi considerando 6 anni si tratterebbe in media di 35 miliardi l’anno. 

Vale la pena di soffermarsi su tali cifre per comprenderne la portata. 

Nell’ultimo quinquennio gli investimenti pubblici sono stati in media circa 40 miliardi l’anno (cui aggiungere i 20 miliardi di contributi in conto capitale a privati); ben distanti dalla media del quinquennio antecedente il 2008, in cui le cifre (a prezzi attuali) erano rispettivamente 58 e 28 miliardi. Ciò significa che nel corso dell’ultimo decennio lo stock di capitale pubblico si è depauperato, oltretutto in una stagione in cui i danni dei cambiamenti climatici hanno gravato pesantemente sul patrimonio pubblico.

Sarebbe pertanto del tutto ragionevole che nei prossimi anni che i fondi del NGEu fossero tutti aggiuntivi rispetto alla media degli ultimi anni, se non altro per il fatto che ciò riporterebbe gli investimenti pubblici sui livelli fisiologici del paese.

Se così fosse saremmo di fronte ad un cambio di scala che dovrebbe spingere verso una nuova progettazione per rispondere più efficacemente agli obiettivi posti dalla Commissione.

La centralizzazione delle risorse in capo al governo nazionale non vuol dire assenza di rapporto con regioni ed enti locali, dal momento che i progetti ricadranno pur sempre sul territorio assumendo in ogni luogo contorni specifici.

 

… ed anche in Toscana

Anche per la Toscana le risorse del NGEu potrebbero consentire un salto di scala tale da spingere verso progetti di più ampio respiro. Negli ultimi anni gli investimenti pubblici in Toscana sono ammontati a poco più di 2 miliardi l’anno; quindi, considerando il peso economico della regione, potremmo pensare che almeno 12 dei 209 miliardi del NGEu potrebbero ricadere nel nostro territorio. Raddoppierebbe quindi la dotazione degli ultimi anni, consentendo di affrontare alcuni nodi strutturali presenti nelle diverse Toscane della Toscana.

Vi è innanzitutto la Toscana centrale, luogo della tradizionale localizzazione dei distretti industriali, caratterizzata da un elevato livello di sviluppo con alta e diffusa capacità imprenditoriale. Oggi quest’area soffre di un elevato livello di congestione che le è stato fatale durante il Covid, ma che potrebbe essere un problema anche per il futuro.

C’è poi la Toscana della costa che soffre da tempo gravi problemi di crescita per l’estinguersi del vecchio modello basato sulla grande impresa a partecipazione statale; l’area potrebbe essere luogo di insediamento di nuovi investimenti rafforzando la sua vocazione verso la logistica ed il turismo.

Infine la Toscana delle aree interne, le aree montane del versante appenninico e le aree rurali nel sud; aree marginali che soffrono della distanza da alcuni servizi essenziali e che sono soggette da tempo a spopolamento, con conseguente abbandono del territorio; ciò sta generando problemi sul fronte dell’assetto idrogeologico della regione e dell’utilizzo di risorse che comunque sono presenti anche in tali aree.

I fondi del NGEu potrebbero essere indirizzati a far fronte alle diverse esigenze di investimento in tali aree rafforzando la mobilità interna, le connessione con l’esterno specie lungo la costa; la digitalizzazione nelle aree interne, la valorizzazione dell’agricoltura nel sud e lo sfruttamento di alcune risorse energetiche rinnovabili come quelle geotermiche.