Ricerca a cura del Dipartimento DISEI-Unifi, N. Faraoni e D. Marinari
La ricerca, collocata nell’ambito delle attività comuni di IRPET con Regione Toscana, è stata curata dal Dipartimento di Scienze per l’Economia e l’Impresa (DISEI) dell’Università degli Studi di Firenze. Per l’IRPET hanno collaborato Natalia Faraoni e Donatella Marinari, all’interno dell’Area di ricerca Economia pubblica coordinata da Patrizia Lattarulo.
I fattori che spiegano il gender pay gap sono stati ampiamente studiati dalla letteratura economica, e dalle scienze sociali in generale, e sono a tutt’oggi ancora dibattuti (Goldin, 2014; Blau & Khan, 2017). I più studiati includono il c.d. accumulo di capitale umano, ovvero il livello di istruzione e/o l’esperienza lavorativa raggiunta dalle lavoratrici e dai lavoratori (Goldin, 2006), la discriminazione, ovvero la penalizzazione salariale delle lavoratrici riconducibile a scelte aziendali per le quali è possibile un certo grado di discrezionalità (ad esempio, nell’assunzione o nella progressione di carriera), ed infine la c.d. selezione delle donne in posti di lavoro meno remunerativi, ovvero la scelta delle donne di rivolgersi a settori del mercato del lavoro, o a svolgere mansioni, di per sé meno remunerative (Goldin & Rouse, 2000). Ai fattori sopra-menzionati, la letteratura più recente ha aggiunto lo studio dell’impatto delle norme sociali, il ruolo giocato dalle preferenze –nell’ipotesi che uomini e donne possano differire nelle preferenze rispetto ad aspetti del mercato del lavoro che hanno un impatto sulle retribuzioni (ad esempio, seguendo le c.d. carriere STEM)- nonché la possibilità che diverse abilità non cognitive, ovvero alcuni tratti della personalità presenti in maniera più o meno marcata negli uomini o nelle donne (come ad esempio, la competitività), possano contribuire a differenziare le retribuzioni di lavoratori e lavoratrici (Gneezy et al., 2003; Gneezy & Rustichini 2004; Guiso et al., 2018). Tra le possibili spiegazioni del gender pay gap di più difficile quantificazione ci sono senza dubbio le difficoltà di conciliazione tra le esigenze della famiglia e quelle del lavoro, soprattutto dopo la nascita dei figli. In particolare, nei contesti nei quali il modello familiare dominante è ancora quello dell’uomo-breadwinner (secondo il quale le principali responsabili della cura dei figli e del lavoro domestico non retribuito sono le donne mentre i principali responsabili del lavoro retribuito sono gli uomini), il maggior tempo impiegato dalle donne nelle mansioni domestiche rappresenta un fattore importante per spiegare il gender pay gap. Per conciliare le responsabilità lavorative e familiari, le donne sono più propense degli uomini a scegliere lavori con contratti più sicuri, che richiedono meno ore di lavoro o più flessibilità, ma che spesso sono meno remunerati e offrono minori prospettive di avanzamento di carriera (Anxo et al., 2018; Anxo et al., 2011; Cutillo & Centra, 2017). (…)