Osservatorio regionale della Cultura. Nota 2/2021 | A cura di Sabrina Iommi
Chiunque abbia lavorato sul tema delle attività culturali sa bene che si tratta di un settore “sfuggente”, difficile da misurare per una molteplicità di ragioni.
La prima difficoltà è di tipo terminologico, esistono alcune attività che sono palesemente culturali, come ad esempio tutto il comparto del patrimonio storico-artistico e architettonico, ed altre che sfumano invece nell’intrattenimento, come accade ad alcuni segmenti dello spettacolo, o appartengono in modo più tradizionale ad altri settori produttivi, come è il caso di stampa, artigianato, enogastronomia, pubblicità, o hanno una natura immateriale, diffusa e trasversale che ne rende incerta l’individuazione. Basti pensare che secondo la definizione UNESCO la cultura in senso lato include “l’insieme degli aspetti spirituali, materiali, intellettuali ed emozionali unici nel loro genere che contraddistinguono una società. Essa non comprende solo l’arte e la letteratura, ma anche i modi di vita, i diritti fondamentali degli esseri umani, i sistemi di valori, le tradizioni e le credenze”.
La seconda difficoltà deriva dall’inquadramento giuridico incerto delle imprese e dei lavoratori. Spesso i soggetti che producono beni e servizi culturali non hanno forma di impresa, ma piuttosto di istituzione pubblica o di soggetto non profit (associazione, fondazione). Molto frequentemente i lavoratori esercitano la loro attività con modalità contrattuali poco standardizzate, prevalgono il lavoro autonomo, gli incarichi temporanei, le prestazioni intermittenti, le pluriattività o anche la forte dipendenza dall’esternalizzazione di servizi tradizionalmente pubblici. (…)
Osservatorio regionale della Cultura. Nota 4/2024 | di S. Iommi
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