Nota di lavoro 25/2023 di C. Ferretti
La crisi demografica costituisce senza alcun dubbio una delle principali fonti di apprensione per la sostenibilità delle finanze pubbliche e il finanziamento del sistema di welfare in molti paesi, in particolare in Italia, già appesantita da un elevato debito pubblico e, rispetto ai principali Stati europei, minacciata da prospettive demografiche drammatiche. Non a caso, l’ultimo Documento di Finanza Pubblica (Mef, 2023 pag. 123) conclude che “la transizione demografica è una delle sfide più rilevanti che l’Italia dovrà affrontare nel corso dei prossimi decenni” e riporta al suo interno stime sul debito pubblico che tengono conto nello specifico di questo aspetto: infatti, mentre nel breve periodo, la traiettoria del debito pubblico sul Pil segue un percorso che è nelle aspettative, data l’adozione di politiche severe di contenimento della spesa pubblica, nel lungo periodo il debito dovrebbe crescere a ritmi molto sostenuti soprattutto per l’influenza del rapido declino demografico.
D’altra parte la popolazione italiana continua a invecchiare, come certificato dall’ultimo Report dell’Istat sulle previsioni della popolazione residente e delle famiglie (Istat, 2022). Nel 2021 l’età media si è innalzata di tre anni rispetto al 2011 (da 43 a 46 anni) e per ogni bambino si contano 5,4 anziani rispetto a nemmeno un anziano per ogni bambino del 1951. L’indice di vecchiaia (cioè il rapporto tra la popolazione di oltre 65 anni e quella con meno di 15 anni) è notevolmente aumentato e continua a crescere, dal 33,5% del 1951 al 187,6% del 2021. La geografia delle nascite mostra, infine, un calo generalizzato in quasi tutte le aree, con i valori più alti al Sud (-2,7%).
Come noto, il fenomeno del progressivo invecchiamento della popolazione è il risultato dell’effetto combinato di due processi: da un lato la denatalità, che assottiglia le fasce di età più giovani, dall’altro l’allungamento della vita media, che allarga le fila dei gruppi più anziani.
Guardando alla previsione per il futuro, i dati non sono certo più incoraggianti. Nel 2050, ad esempio, la percentuale di persone con più di 65 anni salirà di oltre dieci punti arrivando al 35%, e potremmo raggiungere un numero di decessi doppio rispetto a quello delle nascite. Inoltre, per quanto riguarda la composizione della popolazione, è atteso un aumento del numero delle famiglie di circa un milione di unità. Si tratta però di famiglie sempre più piccole e con capofamiglia sempre più anziani.
La diversa composizione demografica della popolazione, e in particolare il minor numero di giovani e il maggior numero di anziani, andrà a correggere inevitabilmente anche il paniere dei consumi delle famiglie, talvolta modificando la richiesta di alcuni servizi resi dalla pubblica amministrazione e rendendo necessarie specifiche politiche di welfare. Guardando, ad esempio, ai soli servizi locali, l’invecchiamento della popolazione determinerà una maggiore richiesta di servizi di cura e assistenza per gli anziani e il minore numero di bambini, al contrario, stabilirà una riduzione delle richieste di posti in asili nido, almeno in alcune aree. Gli enti locali si troveranno, pertanto, a confrontarsi con livelli di spesa diversi rispetto al passato, presumibilmente più alti in alcuni specifici ambiti settoriali. In questa nota di lavoro, per avere contezza di quante saranno le risorse necessarie a coprire il diverso numero di destinatari, la spesa attuale è stata disaggregata per funzione e a ciascuna funzione è stata attribuita una classe di età dei possibili utenti di riferimento. A ciascuna classe di età è stato, infine, associato l’andamento demografico previsto da Istat. La stima dei fabbisogni di spesa futuri permetterà di comprendere quali territori, data la loro struttura per età, presenteranno un bilancio più “esposto” ai rischi di insostenibilità finanziaria dovuti, ad esempio, all’invecchiamento della popolazione e quali settori di intervento, dato il panel di entrate disponibili, potranno essere più penalizzati di altri.