a cura di M. L. Maitino, L. Ravagli e N. Sciclone
I redditi degli immigrati sono inferiori a quelli degli italiani. Non è una notizia originale. O che desti scalpore. Gli immigrati che arrivano nel nostro paese sono infatti, rispetto alla popolazione autoctona, mediamente più giovani, non hanno significative esperienze di lavoro, hanno più bassi titoli di studio, trovano una occupazione in settori non particolarmente qualificati, sono assunti in quota maggiore con contratti a termine, svolgono mansioni manuali e non collegate quasi mai a ruoli direttivi. Sono quindi concentrati nei gradini più bassi della stratificazione socio-professionale. Anche in Toscana. Ma forse non tutti sanno che gli immigrati ricevono per ogni ora lavorata, anche a parità di caratteristiche, un salario orario più basso dei nativi.
Una quota della distanza salariale fra stranieri e nativi, una quota rilevante, non è cioè riconducibile alle diverse caratteristiche che incidono nella determinazione dei livelli reddituali. Ciò costituisce un segnale di allarme, sulla presenza di dinamiche discriminatorie nei confronti degli immigrati, che non va trascurato. Naturalmente nessun esercizio di stima, neanche il nostro, per l’indisponibilità dei dati che si renderebbero necessari a questo scopo, è in grado di misurare se il più basso reddito degli stranieri -nella parte non imputabile alle diverse caratteristiche osservabili- sia in parte associabile ad un problema di minori competenze linguistiche, ad un inadeguato grado di intraprendenza o ad un atteggiamento poco proattivo verso il lavoro. Questi elementi possono svolgere certamente un ruolo. Ma accanto ad essi probabilmente giocano, data la dimensione della quota non spiegabile della differenza salariale, anche elementi meno ragionevoli, velatamente discriminatori, che inducono i datori di lavoro a ostacolare l’accesso degli immigrati ai lavori intellettuali, impiegatizi e/o professionali anche quando essi avrebbero la capacità di svolgerli. Per fortuna non è così ovunque, nel territorio nazionale.
Nel Sud d’Italia la componente di differenziale reddituale fra stranieri e nativi non spiegata dalle caratteristiche dei lavoratori raggiunge e sopravanza il 50%, mentre è attorno al 43% nel Nord e scende al 38% nel Centro Italia. In Toscana la quota di gap reddituale non spiegata è molto più bassa che a livello nazionale e pari al 20%. Significa che la distanza di reddito tra stranieri e italiani dipende nella nostra regione soprattutto dalle diverse caratteristiche delle due popolazioni di lavoratori e non da una diversa remunerazione delle medesime caratteristiche per tipologia di cittadinanza. Conforta sapere, quindi, che una consolidata tradizione di civismo, di costante attenzione delle istituzioni per i temi dell’inclusione sociale, ed una diffusa abitudine alla interazione fra datori e organizzazioni sindacali abbia circoscritto nella nostra regione entro limiti migliorabili ma contenuti ogni pulsione orientata a comportamenti discriminatori nei confronti degli stranieri.
Le differenze di reddito fra stranieri e nativi restano comunque marcate e si sono accentuate nella crisi. Ovunque nel paese. Nonostante queste differenze il saldo fiscale medio degli stranieri – conteggiando le voci principali – è pari a circa 3.700 euro annui contro 1.500 euro degli italiani: praticamente più del doppio. Date le caratteristiche del nostro sistema di welfare, quasi interamente dedicato ai trasferimenti pensionistici, significa che il settore pubblico, attraverso il sistema di imposte e benefici, finisce per attuare una redistribuzione di tipo regressivo, dagli stranieri poveri di reddito agli italiani in pensione. A ciò si aggiunga che, controllando per il più basso reddito e il maggior numero di figli, gli stranieri non risultano beneficiare del sistema di welfare più degli italiani.