Studio curato da L. Grazzini, P. Lattarulo, M. Macchi
Questa attività è svolta nell’ambito della collaborazione con Regione Toscana e Agenzia di coesione Nucleo di Valutazione CPT. Lo studio è stato curato da Lisa Grazzini (Università di Firenze), Patrizia Lattarulo (IRPET), Marika Macchi (Università di Firenze). Le autrici desiderano ringraziare il dott. Silvano Castangia (Regione Sardegna), per i preziosi consigli alla prima stesura del lavoro.
L’evento pandemico ha rimesso in discussione non solo l’organizzazione sanitaria a livello nazionale ma, soprattutto, la capacità di risposta e i modelli organizzativi delle singole Regioni. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (da ora in poi PNRR), che oggi rappresenta il principale strumento della politica di sviluppo del sistema sanitario, ha evidenziato non solo la necessità di aumentare la dotazione infrastrutturale delle regioni più deficitarie, ma anche la necessità di colmare gli squilibri territoriali con un’attenzione particolare alla medicina di prossimità. Questo lo si può leggere negli investimenti destinati alle case della salute, alla telemedicina e al rafforzamento della continuità assistenziale.
Queste diseguaglianze territoriali tra regioni e, come vedremo, a volte perfino tra province o aree vaste, oltre a minare il principio di equità, concorrono alla creazione della mobilità sanitaria, ossia l’attivazione di flussi migratori che portano la popolazione a scegliere un percorso di cure in regioni diverse da quelle di residenza.
Come definiscono Agenas e Gimbe, i due principali istituti che osservano il fenomeno della mobilità sanitaria, il fenomeno è in crescita e continua a rinforzare le aree con saldi di attrazione positivi e ad aumentare l’esodo da regioni con elevata mobilità in uscita. Il Rapporto Agenas (2021) ha evidenziato questa tendenza nel decennio 2008-2018, mettendo in evidenza come le Regioni in piano di rientro presentassero un tasso di emigrazione maggiore rispetto alle regioni del nord Italia che registrano tassi di mobilità attiva elevatissimi.
Chiaramente le motivazioni che possono spingere il cittadino a ricercare cure in contesti diversi da quello in cui è residente possono essere molteplici: un elevato livello di reddito, propensione agli spostamenti, il livello di istruzione, la vicinanza al sistema di supporto familiare, la scelta per reputazione di un sistema ospedaliero, la tipologia di cure di cui si necessita e la frequenza delle cure, l’età del paziente e il genere (Fotaki et al., 2008; Williams e Rossiter, 2004; Popper et al., 2006). Questo tipo di motivazioni, legate alle preferenze soggettive, sono quanto viene garantito dal principio di libertà di scelta che il servizio sanitario nazionale deriva direttamente dalle disposizioni costituzionali (art. 32), e che tratteremo nei suoi risvolti organizzativi nel secondo paragrafo in relazione al bilanciamento tra un sistema universalistico che garantisce assistenza sanitaria a ogni cittadino e un sistema regionalizzato.
Tuttavia, volendo focalizzare la nostra attenzione sui forti squilibri che stanno polarizzando le regioni meno attrattive e quelle con mobilità attiva prevalente, che verranno descritti brevemente nel terzo paragrafo, è importante porre l’accento sugli elementi determinanti gli spostamenti della popolazione derivanti dalla strutturazione dell’offerta.
In particolare, sono due i fattori che spingono verso forze di concentrazione: il primo è quello che spinge ad aggregare competenze e risorse verso la cura di malattie che hanno economie di scala e specializzazione significative; il secondo è congenito nella sotto-dotazione (infrastrutturale, organizzativa e organica) dell’offerta sanitaria di alcune regioni. (…)