Trimestrale di informazione dell’Osservatorio del Mercato del Lavoro
Nel quarto trimestre 2022, in Italia, l’input di lavoro, misurato in ore lavorate, è aumentato del 3,1% rispetto al corrispondente trimestre 2021 e dello 0,7% rispetto al trimestre precedente; nello stesso periodo il Pil ha registrato una debole flessione (-0,1%) in termini congiunturali, mentre è aumentato dell’1,4% in termini tendenziali. In Toscana il numero complessivo di occupati è cresciuto dell’1,4% su base annua mentre registra una perdita di -0,9% sul trimestre precedente confermando il rallentamento del ritmo di crescita già osservato tra luglio e settembre. Anche gli avviamenti mostrano una riduzione su base annua e una variazione nulla sul trimestre precedente. Il risultato complessivo del 2022 è, comunque, notevolmente positivo raggiungendo il massimo storico nel numero di occupati con una forte riduzione del numero di disoccupati, -17% sul 2021, e del tasso di disoccupazione, da 7,5% a 6,0%. Si è ridotta considerevolmente anche la quota dei cosiddetti scoraggiati ed è aumentata la partecipazione femminile al mercato del lavoro. La domanda di lavoro dipendente ha favorito la parte stabile soprattutto tramite le trasformazioni contrattuali, 54mila nell’anno, il valore più alto dal 2009. Tutti i settori, con la sola eccezione del credito, mostrano variazioni positive rispetto al 2021. Non hanno ancora recuperato i livelli dell’anno pre-Covid i settori della concia, delle calzature e del marmo.
Alla fine del 2021 fino alla metà del 2022, il numero di dimissioni ha raggiunto in Toscana un livello storicamente elevato, con quasi 31mila dimissioni a trimestre, di cui il 56% a tempo indeterminato. Questo fenomeno ha dato luogo a un dibattito con due diverse interpretazioni. Secondo una prima corrente di pensiero, le “grandi” dimissioni sono state un fenomeno in linea con il ritorno dello scenario economico ai livelli antecedenti la crisi Covid-19, con un mercato del lavoro in forte crescita e con molte più opportunità e posti vacanti rispetto al periodo pre-pandemia. Una seconda linea interpretativa, associata ad un cambio di valori maturato durante
la pandemia, riconduce l’aumento delle dimissioni alla volontà di perseguire un nuovo equilibrio tra vita privata e lavoro, per cui si lascia il proprio impiego per trovarne uno migliore, più appagante e con maggiore flessibilità. Osservando la serie storica delle dimissioni volontarie si ricava, però, che sia il volume complessivo osservato in questi due anni, sia il tasso di dimissioni sono comparabili con i valori del 2008 e che il loro andamento, in aumento come in diminuzione, è correlato a quello dell’economia in generale e del mercato del lavoro in particolare. Il tasso di dimissioni è un indicatore ciclico. È infatti basso durante le crisi e aumenta durante la ripresa, tanto più quando la ripresa economica è rapida. Durante le fasi di espansione compaiono nuove opportunità di lavoro, che incoraggiano le persone a licenziarsi più spesso.
Nel contesto attuale, l’aumento del tasso di dimissioni osservato fino alla prima metà del 2022 appare in linea con la ripresa successiva alla crisi del Covid-19, testimoniata dalle buone performance osservate nel mercato del lavoro. Non sorprende, quindi, che il rallentamento della domanda di lavoro nella seconda parte dell’anno, conseguente alla crisi energetica, alla dinamica inflazionistica, alla mancata proroga del Bonus 110, abbia determinato una flessione delle dimissioni volontarie.
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