Tre indagini sul tema della cura e la questione di genere: aspetti strutturali ed effetti della pandemia

Nota di lavoro 16/2022 di N. Faraoni

Questa nota raccoglie i principali risultati di tre indagini, effettuate a cavallo tra il 2021 e il 2022, in occasione della stesura del sesto Rapporto IRPET sulla condizione economica e lavorativa delle donne in Toscana, dedicato al tema della cura. Le rilevazioni si concentrano sui problemi di conciliazione, ripercorrendo anche gli effetti della pandemia sui tempi di vita e di lavoro.

La prima indagine riguarda le madri residenti in Toscana con figli minori di 14 anni. Si tratta della fascia d’età in cui i bambini sono ancora dipendenti dagli adulti, devono essere accuditi e seguiti e quindi richiedono una presenza genitoriale più assidua. Il questionario indaga la divisione del lavoro di cura tra padri e madri, valutando gli effetti della pandemia, dopo una ricostruzione delle variabili strutturali di tipo socio-demografico e occupazionale. Si pone attenzione anche ai servizi di cura esterni eventualmente utilizzati e a quali, non presenti, potrebbero migliorare la situazione familiare.

La seconda indagine si concentra sulle famiglie toscane che si prendono cura di persone non autosufficienti, cercando di identificare i cosiddetti caregiver primari, ossia coloro su cui ricade il maggior onere della cura all’interno del nucleo. L’obiettivo dell’analisi è rilevare le condizioni di vita di queste persone, esplorando anche le ricadute della pandemia e i cambiamenti intervenuti nell’organizzazione familiare.

La terza e ultima indagine è rivolta al personale sanitario toscano, con l’intento, anche in questo caso, di capire meglio come la pandemia abbia modificato l’organizzazione vita-lavoro dei dipendenti e delle loro famiglie, in un settore in prima linea nella cura delle persone, messo sotto pressione dall’emergenza sanitaria.

I risultati raccolti offrono uno spaccato delle attività di cura, svolte in netta prevalenza dalle donne, sia nel mercato del lavoro che in famiglia, evidenziando come la pandemia abbia spesso aggravato il peso, già consistente, di tali compiti sulle spalle femminili. Le politiche di conciliazione vita-lavoro, in assenza di una effettiva condivisione dei compiti di cura all’interno della famiglia, non hanno risolto il nodo della cura non retribuita, che rappresenta ancora per molte donne un ostacolo allo svolgimento di un lavoro a tempo pieno e alla propria realizzazione professionale, se non la principale ragione della caduta nell’inattività. Inoltre, la cura dei familiari bisognosi emerge come una “questione privata”, la cui organizzazione avviene prevalentemente all’interno della famiglia – sempre meno numerosa –, laddove i servizi pubblici e di comunità non appaiono in grado di alleggerire e apportare un reale aiuto sia nel caso dei figli minori di 14 anni, che degli adulti non autosufficienti.

Emergono quindi con forza alcune debolezze strutturali della nostra organizzazione sociale, che contribuiscono decisamente alla permanenza dei divari di genere, come (a) l’assenza, all’interno della gran parte delle famiglie, di una reale condivisione della cura, ancora sostenuta da una divisione tradizionale tra lavoro retribuito e non retribuito; (b) un’organizzazione del mercato del lavoro poco flessibile, che penalizza coloro che debbono anche occuparsi di familiari bisognosi; (c) un’offerta di servizi pubblici per i minori – in primis la scuola dell’obbligo – e le persone non-autosufficienti non ancora adeguata alle esigenze reali della cittadinanza e ben lontana dalla concezione della cura come bene pubblico collettivo.

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